Qui giace il Vecchio Mondo
Qui giace l’Occidente, morto per l’inadeguatezza delle sue leadership e per l’indifferenza del resto del mondo. Questo è l’epitaffio pronto per l’Occidente se non riuscirà a cambiare la sua classe dirigente o se la sua classe dirigente non si convincerà a cambiare la rotta impostata fino a qui. L’epitaffio sarà in lingua cinese, inciso su pietra africana.
Ma prima di diventare un epitaffio, all’Occidente pare essere concesso che questo sia ancora un monito col tempo per salvarsi, ma in esaurimento. È il monito consegnato all’opinione pubblica e alla classe dirigente nazionale ed europea in Grande è la confusione sotto il cielo. Riflessioni sulla crisi dell’ordine mondiale da Massimo D’Alema. Prima della lettura, anche della sua recensione, è bene una legenda e un profilo dell’autore
Si intenda per Occidente il soggetto politico unico di Stati Uniti ed Unione Europea che dopo la fine della Seconda guerra mondiale ha organizzato e gestito l’ordine mondiale, che ha costruito, all’interno dei suoi confini, una società secondo il principio del progresso come unione di tecnica ed humanitas, soggetto politico oggi malato e principale destabilizzatore dell’ordine mondiale; per Mediterraneo (si intenda) il mare di tutti, «incrocio di civiltà, che ha sviluppato una cultura unitaria», un mare geograficamente e politicamente inteso nella interezza delle sue due sponde, nord e sud, su cui e da cui oggi si manifestano e si diffondono le conseguenze di sangue del disequilibrio; per resto del mondo tutto che Occidente non è, senza distinzioni geografiche vincolanti, verso cui l’autore nutre, a priori, rispetto per le sue storie e curiosità di interazione, consapevole della presenza di regimi autoritari, che spesso lo guidano; per ordine mondiale l’unità inclusiva in equilibrio e concordia degli «interessi di tutti i paesi grandi e piccoli e dei popoli diversi che vivono il pianeta», orizzonte comune di cui l’Occidente si deve fare maggior carico.
L’autore del libro è l’ultimo dei «rivoluzionari per vocazione» (questa l’accezione che i comunisti preferivano darsi al posto del generico ed anonimo politico, attingendo in prestito al tedesco Beruf): il rivoluzionario è insieme uno studioso che approfondisce sui libri e un militante attivo che agisce nel reale al servizio della cosa pubblica, perseguendo un ideale di parte, che, poiché il più giusto, deve prevalere. I maggiori ruoli ricoperti, Segretario del PDS, perno del centrosinistra, Presidente del Consiglio, Ministro degli Esteri, sono stati agiti secondo questa dottrina «Se non vogliamo limitarci a un’esercitazione astratta e a descrivere il mondo ideale che vorremmo, bisogna partire dai processi politici reali per cercare di vedere su quali elementi si può fare leva per costruire le condizioni di un mondo più cooperativo in grado di garantire efficacemente la pace e uno sviluppo più armonioso», in cui il pensiero e l’azione non sono utopici, ma fortemente ancorati nella realtà che li circonda.
All’ultimo esponente della scuola togliattiana viene naturale, fortunatamente per i lettori più giovani, applicare le categorie di analisi ed azione. L’analisi è cristallina: terminata la Seconda guerra mondiale l’Occidente guida l’allargamento dell’economia di mercato e delle democrazie liberali verso cui il popolo nutre simpatia, diventando uno dei poli della Guerra fredda; la nascita e lo sviluppo progressivo dell’ Unione Europa sono l’esempio più contemporaneo di questa evoluzione della politica e dell’economia; dopo il crollo del Muro di Berlino, venuto meno il mondo bipolare, l’Occidente inizia progressivamente ad indebolirsi al suo interno e a perdere la posizione certa e definita all’interno dell’ordine mondiale, ordine che non è più il medesimo dei decenni precedenti, mentre la Cina inizia la sua la crescita economica a balzi ampi e la Russia la sua riorganizzazione; dopo una lenta decadenza di trent’anni, accelerata negli ultimi dieci anni dall’avvento dei movimenti nazionalistici, che hanno i natali e trovano linfa nelle piaghe delle diseguaglianze sociali, create dal fallimento dell’economia di mercato e della liberaldemocrazia, fallimento dovuto a una globalizzazione non controllata, l’Unione Europea interrompe la sua azione di integrazione politica tra gli stati membri, gli Stati Uniti si chiudono in un primatismo interno, la politica del Medio Oriente è tenuta sotto scasso dall’islamismo, i governi autoritari di Russia e Cina appaiono come i più efficienti in politica estera ed economica, l’Africa, il continente più giovane del mondo, si mette in cammino verso l’Occidente, cerca nuovi partner economici, emancipandosi e liberandosi dal colonialismo, implementa il processo di integrazione regionale.
L’analisi è perfetta, consequenziale: dal peccato originale di Mrs. Thatcher e Mr. Reagan per concatenazione fino ai giorni nostri di Trump. l’America di Trump chiusa in se stessa, l’Unione Europa senza una struttura politica di governo con poteri esecutivi al pari di uno stato come la Cina, la Russia, il Brasile o l’India.
L’Europa è una anziana signora sfinita dalle diseguaglianze interne che fino all’avvento del Covid-19 non era in grado di alcuna politica solidaristica tra gli stati membri (celebre dell’autore è la spiegazione della differenza dei tassi di interesse tra i paesi UE per cui dei 250 miliardi di aiuti europei alla Grecia 220 sono andati per pagare gli interessi delle banche tedesche). Gli Stati Uniti sono passati dalla politica estera democratica di Barack Obama, che nel 2014 nel giro di pochi mesi prima attacca Assad per aprire la via di Damasco all’Isis per poi bombardare l’Isis per difendere Assad, a quella repubblicana di Trump che, ignorando la storia della diplomazia, presenta il piano di pace per il Medio Oriente tentennamento che non ha toccato Putin, o l’avvicinamento della Cina all’Africa in una azione sì di neocolonizzazione ma anche di accompagnamento verso un maggior progresso.
Fatta l’analisi, propria del rivoluzionario è l’azione, quindi la proposta alla domanda cosa deve fare l’Occidente?: lo sforzo dell’Occidente è prima di tutto umanistico, ritrovare se stesso alle sue radici «ristabilire un primato della politica capace di riformare il capitalismo e di vincolarne la crescita alla necessità di preservare l’ambiente naturale e a quella di garantire un ragionevole grado di coesione sociale», per «contribuire a civilizzare la globalizzazione»; solo una Europa che ha compiuto un salto di qualità nel processo di integrazione politica potrà essere una potenza al pari di Washington, Pechino e Mosca; gli Stati Uniti devono uscire dall’isolamento di America first per ritornare a svolgere il ruolo di ordinatore. Ricostruito se stesso, rinsaldato nelle sue radici l’Occidente può rispondere alla domande cosa fare nel mondo? «Una prima sfida è quella di ricostruire una relazione equilibrata con la Russia […] è venuto il tempo di una nuova conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa»; aiutare la Cina ad armonizzarsi con il mondo libero perché «occorre essere consapevoli che l’equilibrio internazionale non potrà ricostituirsi intorno all’egemonia esclusiva di questa grande potenza»; fare dell’Africa non un continente di una nuova colonizzazione, ma in Africa «combattere la povertà e le malattie, governare la migrazioni, offrire un futuro al continente più giovane del mondo».
Quindi dialogo e confronto. L’autore delinea l’identità degli interlocutori, stigmatizza le ricette ai problemi reciproci, arriva al momento di somministrare la medicina al malato principale, che, solo se guarito, potrà sedere a tavolo che guida il mondo e affrontare la discussione . Sempre che al tavolo noi potremo ancora sedere perché l’apparecchiamo e non perché riceviamo l’invito. In altre parole: il resto del mondo ritiene ancora utile l’Occidente al tavolo, lo desidera o è scaduto il tempo e se ne vuole liberare?
La necessità per l’Occidente è il dialogo e il confronto, nella speranza che gli interlocutori sopradetti non vogliano perdere tempo a sedersi a una tavolo con chi non sa chi è, non sa con quale voce parlare, con quali idee e che, al momento, ha nel suo futuro di diventare un continente con più pensionati che cittadini attivi.
Il lettore che si appresta a leggere il libro è bene che non sia nato dopo il crollo del muro di Berlino, che abbia solo assistito all’operato di Mrs Thatcher e dell’amico Reagan, senza pagarne oggi le conseguenze professionali e sociali, è bene che Giovanni Paolo II sia solo un candido anziano sofferente, che muove pietà, e non il freddo picconatore che ha orientato ogni sua azione alla caduta del comunismo senza preoccuparsi di chi si sarebbe, poi, occupato dei poveri del mondo. Perché, se così non fosse, il giovane lettore, al termine dei capitoli, dovrebbe aggiungerne uno: È ora di tornare in piazza.
di Matteo Panari