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La dignità del perdente – Il ‘concession speech’ negli USA

Con la vittoria di Joe Biden alle elezioni presidenziali americane si apre un nuovo capitolo della politica americana. Dopo che l’ex Vicepresidente ha tenuto un il discorso della vittoria accorato e composto come si confà al suo personaggio, Donald Trump sembra indisponibile al ‘concession speech‘, che negli States è diventato un vero e proprio genere.

Non siamo abituati in Italia a momenti come quelli che erano la prassi oltreoceano fino alla presidenza Trump. La delegittimazione dell’avversario e la contestazione ideologica di ogni risultato hanno sempre precluso la possibilità di momenti in cui i candidati, di fronte all’esito delle urne, depongono le armi e si riconoscono nei valori fondanti del proprio paese.

La tradizione dei ‘concession speeches’ televisivi comincia in America nel 1952 con la sconfitta del governatore democratico dell’Illinois Adlai Stevenson, che non riuscì ad avere la meglio su Dwight Eisenhower né in quella tornata né alla successiva. Il suo fu un discorso di pochi minuti, in cui ringraziava quanti lo avevano sostenuto e si congratulava con l’avversario vincitore. Un discorso asciutto, improntato a rispetto democratico ma un po’ dissonante con la battuta per cui è ricordato e con cui commentò la sua sconfitta: «la Coca Cola vende più dello champagne».

Agli esordi della democrazia americana il riconoscimento della sconfitta era un fatto di natura prevalentemente privata. I cambiamenti tecnologici, con l’avvento di nuovi mezzi di comunicazione, contribuirono a dare un nuovo significato ma sempre meno forte e pregnante di quello che i ‘concession speeches’ ebbero con l’avvento della TV. Il primo antenato fu il telegramma di congratulazioni che Jennings Bryan indirizzò al neoeletto William McKinley nel 1896 e il primo discorso radio fu quello di Al Smith, democratico che nel 1928 perse contro Herbert Hoover. L’uso di telecamere più maneggevoli e il miglioramento dei mezzi tecnici di ripresa aggiunse anche qualche dettaglio di scena, come la ripresa della telefonata tra perdente e vincitore. Un siparietto più di forma che di sostanza, come dimostra Walter Mondale, sconfitto da Ronald Reagan alle presidenziali del 1984. Una volta interrotte le riprese Mondale chiese a George McGovern (sconfitto da Nixon nel 1972), quando gli sarebbe passato il dolore bruciante per la sconfitta: «Ti avviserò quando succede», fu la risposta.

Ronald Reagan riceve la chiamata di Walter Mondale/ White House, Reagan Presidential Library – Public Domain

La diffusione e la tipizzazione di questo tipo di discorsi ha di fatto generato uno schema abbastanza ricorrente, che si può rintracciare in quasi ogni discorso pronunciato da Stevenson ad oggi. Lo si capisce provando ad ascoltare con attenzione i discorsi della sconfitta dal 1994 ad oggi (vedi in fondo).

Inizialmente il riconoscimento della vittoria dell’avversario. L’indicazione di qualche sua qualità e l’augurio di poter guidare con saggezza e successo l’America.

A questo primo blocco ne segue un secondo, dove il focus dello sconfitto è sulla propria comunità. Si rimarcano parole chiave come l’onore di essere stati i candidati del proprio partito. Si sottolinea il grande sforzo collettivo di volontari, attivisti ed eletti in ogni angolo del paese. Una frase ricorrente è “Gli elettori hanno parlato”, nelle sue infinite possibili sfumature. Un gesto di attenzione che evoca il rispetto per i cittadini e rifiuta il trincerarsi dietro al fatto di non essere stati capiti, giustificazione invece ricorrente nella retorica politica italiana.

La conclusione del discorso torna poi a focalizzarsi sul vincitore delle elezioni, ma lo fa coinvolgendo anche la comunità nazionale, in un perimetro più ampio di quello del proprio elettorato di riferimento. Lo sconfitto, infatti, dichiara la propria disponibilità a collaborare con il nuovo presidente, abbandonando lo spirito di contrapposizione della campagna elettorale.

L’obiettivo è quello di tornare uniti, nel rispetto dei diversi valori, ma con la consapevolezza che la coesione ha fatto e continua a fare la forza degli USA. E pluribus unum, come dice lo stemma degli Stati Uniti.

Sigillo del Presidente degli Stati Uniti

L’analisi potrebbe concludersi qui. Si potrebbe forse ricordare che la prima a dire esplicitamente «I’m sorry » fu anche l’ultima a pronunciare un concessional speech, la candidata democratica Hilary Clinton, e che sicuramente il suo esempio non verrà imitato da Donald Trump.

Ci tengo però a ricordare il discorso del repubblicano John McCain, sconfitto da Obama del 2008. Nel suo discorso non si limita a congratulazioni di circostanza e a qualche complimento formale al suo avversario. McCain – che più volte mette a tacere la folla quando rumoreggia o contesta il presidente eletto – sottolinea la grande capacità di Barak Obama di ispirare gli emarginati e chi non si sente rappresentato dal sistema. Dichiara senza mezzi termini che quella che si è conclusa è un’elezione storica per il paese e per gli afroamericani.

In punta di piedi entra nell’intimo della vita del suo avversario e ricorda l’aneddoto della nonna, che non ha avuto la possibilità di vederlo diventare il primo presidente afroamericano degli USA. Riconosce l’esistenza di differenze tra la sua visione e quella di Obama, ma esorta i suoi sostenitori a diventare sostenitori del presidente e del paese, cercando i punti di contatto che permettano di costruire un futuro migliore e sicuro.

«Questa campagna è stata e sarà il più grande onore della mia vita, e il mio cuore è pieno di nient’altro che gratitudine per questa esperienza, e per il popolo americano che mi ha concesso questa tribuna prima di decidere che il senatore Obama e il mio vecchio amico Joe Biden avrebbero avuto l’onore di guidarci per i prossimi quattro anni.»

Tutti ricordano la tenacia con cui McCain difese i suoi valori, senza arretrare di un passo di fronte all’ondata travolgente del trumpismo. A differenza di tanti compagni di partito non piegò mai la schiena per posizioni, incarichi, vantaggi.

Nonostante sia venuto a due anni fa non è difficile pensare a come avrebbe sorriso nel vedere il vecchio amico Joe Biden strappare la riconferma a Donald Trump grazie anche al contributo della sua Arizona.

Concession Speeches dal 1994 ad oggi:

Articolo di Fabrizio Bosio