Uncategorized

Quando la stampa (non) fa il proprio lavoro

Il nuovo decennio è iniziato, e come ogni nuovo capitolo di una storia ancora da scrivere si prospetta “fondamentale”, “storico” o anche “decisivo”.
Senza ombra di dubbio, nonostante la retorica da prima pagina, il 2020 ha inaugurato un cambio di paradigma per molti mestieri che si sono dovuti adattare alle norme di distanziamento sociale imposte dai paesi per contrastare la pandemia. Ci sono però professioni che più di tutte hanno risentito di questa svolta improvvisa, una di queste è stata sicuramente quella del giornalista.

Come un artigiano delle notizie chi svolge questa nobile professione sul campo, ascoltando le ricostruzioni, raccogliendo dati e testimonianze o caricandosi in spalla una telecamera per catturare la notizia, si è visto recluso in piccole abitazioni dove, in tempi normali, non avrebbe trascorso più del necessario per ricaricare le batterie con una bella dormita.


Ma questi, ci hanno detto, non sono tempi normali. Il cronista deve accontentarsi delle notizie di agenzia o delle segnalazioni telefoniche per continuare a fare il proprio lavoro di “cane da guardia” della democrazia.
Incarico che in tutto il mondo è stato messo in pericolo non solo dalle misure precauzionali (ma necessarie) di distanziamento sociale, ma anche dall’uso che molti governi hanno fatto della paura dei cittadini per assumere più potere.
Reporters Sans Frontières (Rsf) nel suo report annuale sulla libertà di stampa evidenzia come anche nella democratica Europa non manchino casi di persecuzioni nei confronti dei giornalisti. L’Ungheria ad esempio perde due posti nella classifica della libertà di stampa a livello mondiale, passando all’ottantanovesimo posto. Le motivazioni sono da ricercarsi
negli atti persecutori nei confronti dei giornalisti da parte dello stesso Governo che impone pene detentive sino a cinque anni per i giornalisti che divulgano informazioni sul virus differenti da quelle approvate dallo Stato.

La Serbia, Paese tenuto in grande considerazione dalla Germania e che da tempo sta tentando di approcciarsi all’inizio delle procedure per l’ingresso all’Ue, scivola al posto 93 della classifica di Rsf. La motivazione principale è anche in questo caso il giro di vite dato dallo Stato ai media, soprattutto indipendenti. Il 28 marzo infatti il Governo adotta una norma che prevede il filtraggio di tutte le informazioni riguardanti la pandemia di Covid-19 da parte dello Staff centrale di crisi, e che impone che tutte le informazioni diverse dalla linea governativa siano da considerare perseguibili legalmente. La prima vittima di queste nuove disposizioni è stata la giornalista di Nova.rs, Ana Lalić, accusata di aver diffuso notizie non verificate sulle pessime condizioni del Centro clinico della Vojvodina a Novi Sad, la cronista è stata trattenuta dalle autorità per 24 ore, mentre il suo appartamento veniva perquisito e il suo portatile e due cellulari sequestrati. Le rimostranze esercitate dalle associazioni dei giornalisti hanno fortunatamente provocato il ritiro della norma.

Per concludere la piccola panoramica e tornare in casa nostra non si può tuttavia evitare di menzionare come la situazione in Italia rispetto all’anno passato sia sostanzialmente migliorata. Il nostro Paese sale dal posto numero 43 al 41 di 180 della classifica tanto temuta, ma rimane ancora basso a causa dell’alto numero di giornalisti sotto scorta.

Un altro grande tema che ultimamente sta facendo perdere il sonno a chi si è sempre occupato di Affari Esteri è quello della ripresa del traffico aereo. La domanda che aleggia nell’aria e che si staglia inesorabile su tutti noi è: quanto costeranno i voli dopo questo casino?

La Iata (International Air Transport Association) sostiene infatti che l’obbligo del distanziamento sociale a bordo degli aeromobili comporterà un rincaro significativo su tutti i voli, con un maggior impatto su quelli regionali, dove gli aumenti potrebbero arrivare fino al doppio del prezzo pre-pandemia.

A dimostrare prepotentemente che la crisi è già in atto è tuttavia l’impatto del Covid-19 sui giornali e sulle trasmissioni sportive, così care agli italiani. Se volessimo violare il principio scientifico secondo il quale ad una raccolta dati si debbano sempre togliere i più alti e i più bassi e volessimo comunque prendere il settore più sano in termini di ascolti del panorama giornalistico italiano, potremmo comunque vedere già da oggi gli effetti devastanti della crisi sul settore.

“Sulla base delle stime di mercato, secondo quanto risulta a Italia Oggi, le vendite in edicola di Gazzetta dello Sport, Corriere dello Sport e Tuttosport sono diminuite del 50-60% rispetto ai mesi di marzo e aprile 2019. Tanto per avere un’idea, nel marzo 2019 le vendite in edicola della Gazzetta ammontavano, in media, a 132.505 copie; quelle del Corsport a 62.00; Tuttosport a 42.600. Nel febbraio 2020 erano già scese a quota 122.000 per la Gazzetta, a 56.000 per il Corriere dello Sport e a 35.000 per Tuttosport. Ecco, ora, nell’aprile 2020, sono circa la metà”.

“Analizzando i dati Auditel dal 1° al 25 aprile, e confrontandoli col periodo 3-27 aprile 2019, gli ascolti di Sky Sport Uno sono precipitati dell’89% nelle 24 ore e del 95% in prima serata. Il canale di news sportive Sky Sport 24 è invece giù del 70% nelle 24 ore e del 65% in prima serata”.

Ma anche la stampa anglosassone, secondo quanto riporta il The New York Times, non si trova in buone condizioni. In Gran Bretagna più di 50 giornali locali e regionali hanno smesso di essere stampati o hanno sospeso la propria attività online. In alcuni casi, chi ancora esce si affida al volontariato delle comunità per essere distribuito casa per casa. Con un impatto ancora più disastroso sulla stampa britannica rispetto a quella italiana la crisi sta mettendo in pericolo migliaia di posti di lavoro.

Mentre in Italia dal 5 marzo è entrata in vigore una legge che tra le altre cose fissa il tetto massimo di sconto applicabile ad un libro al 5%, il Governo britannico ha annunciato l’eliminazione della tassa su e-book e pubblicazioni online nel tentativo di aiutare sia gli editori che i lettori.

Inoltre, Westminster ha recentemente annunciato una campagna pubblicitaria di tre mesi per supportare il Servizio sanitario nazionale (NHS) che inietterà fino a 35 milioni di sterline (oltre 43 milioni di dollari) negli editori di tutto il paese.

Su tutta questa faccenda potremmo ricamare una tela di Penelope infinitamente incompleta, un dato però è chiaro: il giornalismo deve cambiare. La necessità nasce dalla salvaguardia dell’informazione di qualità fatta da reporter indipendenti e testate autofinanziate. I giornalisti indipendenti devono staccarsi dai tradizionali organi associativi e ripensare un’informazione di qualità e che possa, tramite l’unione delle forze azzoppate da questa crisi, poter tornare a produrre ancora. Per la democrazia e per il diritto che ogni giornalista ha di non essere lasciato solo.