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Croazia: La polizia difende i propri confini respingendo i migranti in Bosnia

Velika Kladuša è un campo informale a poche centinaia di metri dal confine bosniaco- croato nel cantone Una-sana. La distesa di tende si trova all’interno di un terreno di proprietà della compagnia agricola Agrokomerc, nella cui azienda l’attuale sindaco della città Fikret Abdić ricoprì la presidenza prima della guerra.
Abdić non è nuovo alle cronache internazionali poiché nel 1993, durante la guerra di Bosnia fondò la Provincia Autonoma della Bosnia dell’Ovest, della quale fu governatore fino al 1995. Venne condannato a vent’anni di prigione (mai scontati), per i crimini di guerra perpetrati nel centro di detenzione da lui creato, dove si consumarono omicidi, torture e stupri.

Oggi nuove violazioni dei diritti umani si consumano nella Bosnia dell’ovest sotto forma di respingimenti coatti e pestaggi da parte della polizia croata nei confronti dei migranti che provano ad attraversare i confini per dirigersi verso il cuore dell’Europa.

 

 

Le violenze sistematiche verso le persone intercettate all’interno della Croazia iniziano col sequestro di ogni bene: i cellulari sono il primo oggetto che viene preso e distrutto dai poliziotti. Ogni persona viene poi manganellata soprattutto negli arti inferiori come dissuasione ad altri tentativi di ingresso. Dalle testimoniane dirette i poliziotti croati non solo distruggono gli apparecchi mobili, ma si appropriano anche di molti beni in possesso dei migranti comprese le somme di denaro che portano con loro durante il viaggio.

 

I segni visibili delle percosse

 

R. è una donna iraniana di 47 anni che è stata catturata dalla polizia croata insieme al figlio quindicenne. Dalle ferite che ha riportato si evince che è stata vittima di una violenta colluttazione, i segni dei manganelli sono ben visibili sulla schiena e sulle braccia come in molti ragazzi che erano con lei al momento della cattura. Sono proprio questi che ci invitano a parlarle e a documentarne le condizioni che, a poche ore dall’aggressione, si trova di nuovo nella sua tenda al campo di Velika Kladuša.

 

   

La troviamo seduta all’ombra della veranda per ripararsi dai raggi del sole di agosto. Un lato della bocca è spaccato e le botte fresche iniziano già a creare ematomi bluastri sulle gambe. Dice di non riuscire a muovere bene il piede destro e che la testa le duole a causa delle percosse. Scoppia in lacrime confessandoci di essere stata umiliata e picchiata dalla polizia croata, ma ciò che più la spaventa è il sequestro di tutto il denaro che le era rimasto. Suo figlio, un ragazzetto dall’aria impaurita si lascia sollevare dalla fronte i riccioli castani per mostrare i segni delle percosse che non lo hanno risparmiato nonostante la giovane età.

 

Le ferite su una donna iraniana

 

Un team di emergenza di Medici Senza Frontiere sta fortunatamente per prendersi cura dei due sventurati. Ciò che non potranno curare tuttavia sono i ricordi nella mente di questa donna e del figlio, che rimarranno per sempre segnati da questi soprusi verificatisi in pieno territorio europeo.

 

Segni delle violenze su donne e minori

 

Oggi la Bosnia sta rivivendo la tragedia dei campi di internamento, delle tende, dei profughi ma attraverso gli occhi di pakistani, iraniani, afghani e indiani che, senza vie sicure per entrare in Europa sono nelle mani di un paese che ancora fa i conti con il dolore della guerra civile. L’inverno è imminente e l’unica pezza che le agenzie intergovernative prevedono di mettere sulla situazione è quella dell’apertura di nuovi campi profughi, i quali non faranno altro che inasprire gli animi della popolazione e delle amministrazioni locali bosniache. A causa della carenza di piani a lungo termine da parte degli enti internazionali per la gestione dei migranti, le braci di un conflitto vecchio appena di vent’anni si stanno risvegliando sotto la polveriera d’Europa.